Aiutare i bambini e le bambine con dislessia a leggere

Aiutare i bambini e le bambine con dislessia a leggere

Purtroppo è ancora diffuso il luogo comune secondo cui le persone dislessiche non riescano ad apprendere bene l’inglese, o perlomeno incontrino insormontabili difficoltà nell’apprendimento della lingua scritta.

È vero che l’inglese rappresenta una lingua ostica da questo punto di vista, e la complessità delle sue regole ortografiche viene indicata come una delle principali cause del fatto che molti studenti britannici trovino difficoltà a leggere la loro lingua madre (le statistiche posizionano il Regno Unito in una posizione preoccupante per quanto riguarda le competenze base di lettura e scrittura).

Ragazzi e ragazze inglesi in età adolescenziale con diagnosi di dislessia o che presentano difficoltà visibili nella lettura sono certamente più numerosi rispetto alla percentuale di italofoni con significativi problemi di lettura dell’italiano. Ci sono molte ragioni dietro a questo dato allarmante, principalmente di ordine socio-culturale e didattico. Di conseguenza, non si può negare che la lingua inglese scritta presenti maggiori sfide rispetto a lingue “trasparenti” come l’italiano.

L’inglese è la prima lingua straniera insegnata in Italia, introdotta sin dalla Scuole dell’Infanzia.

Tra le tante lacune della didattica di questa lingua, vi è la sistematica mancanza d’insegnamento strutturato delle regole ortografiche e fonetiche.

Nonostante sia molto diffusa la percezione che lo scritto rappresenti la massima difficoltà della lingua inglese, sfogliando la maggioranza dei testi scolastici, si trovano raramente sezioni esplicitamente ed esaustivamente dedicate alle regole della codifica e della decodifica.

Nella pratica, gli alunni e le alunne imparano la corrispondenza tra parola scritta e pronunciata in modo intuitivo, basato solo sull’incontro reiterato della parola data o sulla copia. Ciò risulta estremamente difficile per gli studenti con DSA, in particolare per quelli affetti da dislessia e disgrafia, che trovano difficoltà a interiorizzare e automatizzare.

Offrire un’istruzione esplicita e strutturata della letto-scrittura in lingua inglese sarebbe molto utile non solo per coloro che sono affetti da disturbi specifici nella lettura e nell’apprendimento, ma sarebbe di beneficio anche per l’intera classe.

Come garantire una migliore leggibilità

Il primo punto da affrontare è la leggibilità. I libri dovrebbero presentare una grafica molto semplice, lineare e nella quale sia facile orientarsi, muovendosi tra le sezioni di ogni unità didattica seguendo un pattern prevedibile.

Troppi disegni e colori possono distrarre gli studenti e le studentesse con DSA o problematiche attentive, presentando “occasioni di distrazione” che distolgono lo sguardo e il focus dello scolaro dal contenuto dei testi.

 

Il font dovrebbe essere ad alta leggibilità e uniforme, in modo da non creare ulteriori difficoltà per coloro che faticano nella decodifica.

I paragrafi dovrebbero essere allineati a sinistra e brevi, possibilmente preceduti da un titoletto che ne riassuma l’idea principale. 

Le illustrazioni sono importanti e piacevoli, ma andrebbero limitate a quelle necessarie per la comprensione, e non meramente decorative. 

La pagina dovrebbe essere opaca e i colori dominanti dovrebbero essere il blu e il verde, che risultano maggiormente riposanti per la vista rispetto a quelli più accesi.

Strutturazione di un training per introdurre gli alunni alla letto-scrittura in inglese

Le righe che seguono prediligono un approccio inclusivo, con l’obiettivo di facilitare il più possibile l’accesso dello studente o studentessa italofono/a in un sistema di codifica e decodifica oggettivamente molto ricco e complesso.

Per semplificare il tutto, di seguito troviamo un elenco ordinato di iniziative didattiche:

  • Sfruttare il transfer positivo: il transfer positivo è la capacità di trasferire alcune conoscenze, competenze e strategie cognitive da una disciplina all’altra. Nella fattispecie, qui parliamo di trasferire alcune conoscenze dall’italiano all’inglese. Sarebbe meglio, tuttavia, iniziare il training di letto-scrittura in inglese con gli alunni e le alunne solo dopo aver già fatto consolidare la loro conoscenza delle lettere italiane e dopo aver già insegnato loro a leggere e scrivere in italiano. Una volta che i bambini e le bambine hanno maturato una conoscenza abbastanza solida della lettura e della scrittura italiana, possiamo iniziare con le parole inglesi che si leggono con le stesse regole, ovvero le parole “trasparenti”. In inglese ci sono molte parole trasparenti, ma quelle più facili da proporre sono le parole CVC (consonante-vocale-consonante), ovvero le parole monosillabiche a sillaba chiusa (per esempio DOG, CAT, MAN, BAT, …).

Queste parole hanno la vocale “breve”, che si pronuncia in modo molto simile alla vocale italiana (vale per A, E, I, O, non vale per U, la quale ha una pronuncia posteriore semiaperta non arrotondata (simboleggiata nell’alfabeto fonetico come /ʌ/). La cosa che possiamo subito notare di queste parole CVC è che la loro pronuncia è “stabile”, ovvero che possiamo lavorare su una corrispondenza grafema-fonema stabile come quella dell’italiano. Proporle risulta un’ottima strategia per cominciare a introdurre i bambini e le bambine alla lettura in inglese, senza che la decodifica o la pronuncia sia una sfida per loro.

Esistono in commercio molti libretti scritti unicamente con parole CVC. Il vantaggio di questo tipo di testi è che permette agli alunni e alle alunne un approccio precoce alla lettura e scrittura in inglese, cosa molto importante per costruire la consapevolezza della lingua!

Inoltre, sono ben 37 le famiglie di parole, ovvero gruppi omogenei di CVC, che possono essere usati sia per formare il vocabolario attivo e passivo dei bambini e delle bambine, sia per fare attività di consapevolezza fonologica, come il lavoro sui suoni iniziali o finali.

  • Purtroppo, come sappiamo, la lingua inglese non è sempre così prevedibile. Le vocali, in particolare, hanno sempre sia un suono breve (che approssimativamente è simile alla pronuncia delle nostre vocali) sia un suono lungo (che è grossomodo pronunciato come il “nome” delle lettere nell’alfabeto). La prima domanda che ci facciamo in merito a questo è :quando incontriamo una vocale come facciamo a distinguere se ha il suono breve o se ha il suono lungo? Questa incertezza è penalizzante per tutti/e, ma soprattutto per chi ha difficoltà specifiche nella letto-scrittura perché si ritrova alle prese di una lingua apparentemente “impossibile” da decifrare. Per fortuna esistono degli schemi che ci aiutano a identificare il suono delle vocali e quindi a prevedere la pronuncia delle parole che incontriamo. Insegnare questi schemi è utile a tutti, ma è raccomandabile soprattutto a chi di noi insegna a studenti o studentesse con dislessia.


  • CV (consonante-vocale): se le sillabe “chiuse” (ovvero che terminano in consonante) hanno sempre un suono breve, le sillabe aperte (che terminano in vocale) hanno un suono lungo. Per esempio, prendiamo una parola che tutti conosciamo: WI-FI. Sono due sillabe aperte, nelle quali la vocale si pronuncia “lunga”, ovvero con il “nome” della lettera <i> dell’alfabeto. Il problema è che, mentre ci sono moltissimi monosillabi con sillaba chiusa, quelli con sillaba aperta sono molti meno. Ma questo pattern si può rintracciare nelle parole con più sillabe. Per esempio, HUMAN si divide in sillabe HU-MAN. La prima sillaba è aperta e quindi la lettera u ha un suono lungo, uguale al suo nome nell’alfabeto, mentre la seconda sillaba è chiusa e la a si pronuncia breve, ovvero approssimativamente come in italiano.


  • Magic E: la regola della “magic E è davvero affidabile. Se prendiamo parole come MAKE, PINE, CUBE, possiamo notare che in tutte avviene il medesimo fenomeno: la e finale sparisce e contemporaneamente la vocale rimanente prende un suono lungo, pronunciata come il nome della lettera dell’alfabeto.


  • Consonante + LE: quando le ultime lettere di una parola sono consonante + LE, avviene sempre questo fenomeno: la e finale non si sente più, e si inserisce una vocale breve (quasi impercettibile e indistinta, una < ə >) tra la consonante e la l. Esempi: STABLE, DOUBLE, GOOGLE.


  • Bossy R: sembra molto strano, ma alle volte gli/le inglesi usano la combinazione di una vocale e una consonante (o più consonanti) per trascrivere degli specifici suoni lunghi vocalici. Un esempio di uno schema facile e affidabile è quello della “bossy R“: le vocali seguite dalla lettera <r> sono percepite non come vocale + consonante, ma come un’unica vocale. Per esempio, la parola CAR è una sillaba aperta, nella quale la C è la consonante e AR è la vocale. Non si percepisce la r finale (quindi non si legge come in italiano), bensì il gruppo AR ha una specifica pronuncia che assomiglia all’articolazione centrale della < ə >. La stessa cosa accade per parole usatissime, come MOTHER, FATHER, TEACHER, SISTER… in nessuna di esse la r è la consonante finale! Al contrario, si sente una vocale che ha delle caratteristiche diverse dalla lettera che vediamo.

 

Questi sono solo alcuni dei pattern che possiamo trovare e non coprono il 100% dei casi, ma data la loro sostanziale regolarità e alta incidenza, possono aiutare gli italofoni e le italofone a decifrare le parole inglesi che incontrano, dando un filo conduttore alla lettura.

Chiunque abbia in classe alunni con DSA può trovare molto utile informarsi sulla metodologia Orton-Gillingham, che propone un approccio estremamente strutturato alla lettura e scrittura in inglese. Naturalmente, l’intero programma richiede anni di studio, ma seguire un training così preciso offre la possibilità di comprendere la codifica e decodifica dell’inglese scritto, trovando strategie cognitive dove è difficile procedere in modo intuitivo (come spesso accade a chi ha problemi nella discriminazione fonologica).